Incipit di “Tre stagioni d’amore”, primo racconto di “Supplizi d’amore”

Quando ero ragazza la mia visione dell’amore era assoluta; vivevo ogni situazione come la manifestazione di un’energia pura, frutto dell’essenza spirituale delle cose.
Fu semplice convincermi di un futuro roseo e dannatamente felice. Coltivai l’immagine di me accanto all’uomo dei miei sogni: il nostro mondo di entusiasmo e gioia sarebbe stato impenetrabile. Decisi che sarei rimasta libera nell’attesa d’incontrarlo, ero certa che sarebbe successo.
Accadde un giorno d’inverno. Da qualche mese avevo compiuto ventinove anni, trascorsi lontano da leziosità, notti brucianti di passione e appuntamenti al chiaro di Luna. Camminavo in riva al lago; il mio respiro volava leggero e il fioccare della neve mutava il sole in una corolla bianca. Quando la foschia si diradò, comparvero nubi cariche di una pioggerella fredda e delicata. A ogni passo le gocce mi accarezzavano più dolcemente, rallentando la loro caduta a poco a poco, finché non rimasero sospese nell’aria. Fu allora che il gelo venne sciolto da un vento caldo, e dal nulla apparve una figura dal portamento nobile. Il mio cuore si bloccò nel petto. Il suo profilo combaciava in maniera perfetta con quello del mio ideale romantico; capii subito chi fosse: era l’uomo del mio destino. Ci fermammo l’uno di fronte all’altra, ma non riuscii a parlargli, perché la sua aura mi avvolgeva e rapiva ogni mio pensiero. Di quel solstizio d’inverno ricordo soltanto il suo sguardo azzurro, luminoso, e un bacio infinito tra due labbra che devono ancora separarsi. Restammo immobili per minuti eterni prima di accorgerci delle fronde di un ciliegio selvatico che sembravano abbracciarci. Perché non ci dimenticasse, incidemmo sul suo tronco i nostri nomi, all’interno di un otto rovesciato.